Articolo Nr.724
del 18/07/2024
Il Diario di Atef Abu Saif sul genocidio innominabile.

La vendetta israeliana per il 7 ottobre non prevede pause. I numeri del massacro, che avviene anche grazie alle armi fornite da governi occidentali e per questo ancor più negato e occultato, non smettono di crescere, anche per il blocco degli aiuti internazionali e per il collasso delle strutture sanitarie. Bambini e bambini, donne e uomini, anziani cercano di sopravvivere abbandonati dal mondo. «I miei amici sono morti tutti… Non ho più nessuno. A mia nipote hanno amputato gambe e mani senza anestesia… – scrive Atef Abu Saif, ministro della Cultura dell’Autorità Palestinese, nel suo straordinario e angosciante diario, tradotto in questi giorni in molte lingue e appena pubblicato anche in Italia – Il primo giorno di guerra un mio amico mi ha mandato un messaggio: “Cosa sta succedendo a Gaza?”. Ho risposto: “La domanda giusta non è cosa sta succedendo, ma cosa è successo in tutto questo tempo, da più di settantacinque anni”…»
Di fronte alla sostanziale indifferenza e all’inazione che accompagnano le cifre dello sterminio in atto a Gaza, in crescita quotidiana ed esponenziale ormai da nove mesi, c’è da riflettere e reagire. I numeri sono stati riepilogati autorevolmente dal Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, nel proprio Rapporto del 25 marzo, dal titolo e significato inequivocabili: Anatomia di un genocidio.
Genocidio. Una parola che, specie in Italia, risulta impronunciabile – e perlopiù impronunciata – poiché oggetto della più rigorosa censura e della rappresaglia nei confronti dei pochi renitenti alla chiamata alle armi e alla propaganda a favore di Israele e del suo governo.
Dietro ai numeri forniti dalla Relatrice, pur arrotondati e sensibilmente accresciuti nei mesi successivi, scorre il fiume di sangue e distruzione che troppi fingono di non vedere e che i governi occidentali nulla fanno per interrompere e neppure frenare. Dopo cinque mesi di operazioni militari, Israele aveva già distrutto Gaza. Oltre 30.000 palestinesi erano stati uccisi, tra cui più di 13.000 bambini. 71.000 i feriti, molti dei quali con mutilazioni che cambiano la vita. Il 70 per cento delle aree residenziali era distrutto. L’80 per cento dell’intera popolazione della Striscia era stata sfollata con la forza. Molti non hanno potuto seppellire e piangere i propri parenti, costretti a lasciare i propri corpi in decomposizione nelle case, per strada o sotto le macerie: si presume siano più di 12.000. Migliaia di persone sono detenute, spesso torturate e sistematicamente sottoposte a trattamenti inumani e degradanti.
Quel tragico bilancio non appena stilato e diffuso risultava immediatamente superato. La vendetta israeliana per l’attacco di Hamas del 7 ottobre, infatti, non vede e prevede pause e rallentamenti. Oggi, 7 luglio 2024, secondo il ministero della Salute a Gaza, erano almeno 37.953 i palestinesi uccisi e 87.266 i feriti.
Un massacro che avviene anche grazie alle armi fornite da governi occidentali e per questo ancor più negato e occultato. Chi prova a frenarlo e documentarlo deve essere perseguitato, calunniato e intimidito. Nasce da questa esigenza la strategia israeliana del violento boicottaggio delle Agenzie delle Nazioni Unite e del blocco degli aiuti internazionali che sta affamando e facendo morire di stenti i più deboli tra i palestinesi. A Rafah, bombardata ogni giorno, vi sono 600.000 bambini che, riferisce l’UNICEF, sono in gran parte «feriti, malati, malnutriti, traumatizzati o con disabilità». Nel contempo, le strutture sanitarie vengono scientificamente distrutte, i medici e operatori arrestati, spesso torturati e in alcuni casi uccisi in carcere, come il dottor Adnan Al-Bursh, ortopedico presso l’ospedale Al-Shifa. A causa degli attacchi sistematici sono chiusi o distrutti 34 ospedali su 36; anche i due ancora aperti sono operativi solo parzialmente e non dispongono di forniture mediche e farmaci. Come denuncia Euro-Med Human Rights Monitor, Israele continua a impedire di lasciare la Striscia e più di 26.000 malati e feriti che necessitano di trasferimenti esterni immediati per cure salvavita rischiano così di morire. O, meglio, di essere uccisi, con armi non meno letali e ancor più vigliacche delle bombe, spesso made in USA.

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dal Diario di Atef Abu Saif, ministro della Cultura dell’Autorità Palestinese.